LUCIANO MARZIANO, 2011
Dei molti esegeti dell’opera di Paolo Gubinelli, gli interventi dei quali si caratterizzano per acutezza e illuminante esplicitazione del percorso dell’artista, Giulio Carlo Argan, seppure nella forma minore di lettera personale, ne definiva la fondamentale natura. Il grande storico dell’arte, pur rivendicando il proprio primigenio razionalismo, riteneva non infondate talune critiche a questa linea, specie provenienti dal versante del cosiddetto postmoderno, ammettendo, con spirito illuminista che permeava il suo pensiero, lo sconfinamento che, poi, sarebbe diventato pensiero corrente del contemporaneo operare artistico. Questo comporta una oramai consolidata caduta di gerarchie esecutive in favore di una espressività basata sulla radicale ricerca dei fondamenti della visibilità come lo spazio, la luce, i ritmi compositivi, da realizzare, “trovare” sotto ogni forma e figura purche’ organicamente coerente. Paolo Gubinelli è dentro questa dimensione. La prevalente declinazione astratta del suo lavoro nel quale, talvolta, viene adombrata come una memoria di riconoscibilità figurale, si articola su più versanti con l’utilizzazione di mezzi minimali quali la carta, qualche volta il cartone e di tecniche soft come l’acquerello, il pastello. In questo percorso che enuncia una forte componente concettuale, incidenza ha l’evento installativo.
Invece della tela, peraltro, utilizzata all’inizio della sua carriera, Gubinelli impiega la carta non per pregiudiziale poverismo, ma quale supporto dalle inedite possibilità espressive. La sua assorbenza, la sua levità consentono esiti che dall’apparente casualità dei segni, della loro espansione, del loro ramigare sulla superfice, transitano nella costituzione di un fondo nel quale si dispongono come emblemi della coscienza ora inquieta che può decampare nella rappresentazione della turbolenza dell’aria, nel battito continuo della pioggia, ora pacificante con l’esaltazione di un colore solare, cantante. Il supporto si fa, quindi, evento spaziale nel quale si amalgamano le varie modalità espressive di Gubinelli dalla strutturazione di impostazione razionale quasi ai limiti del geometrico alla fluidità astratta a ductus informale.
La permanenza della pulsione costruttiva, che poi si ricollega a quello che è il percorso esistenziale dell’artista e alla sua pratica professionale di progettista, di grafico, si evidenzia nei cartoni segnati, per mezzo della lama da tagli e successive piegature manuali. Tagli, piegature assegnati a rotoli che distesi sulle pareti, dilagano sul pavimento in una virtuale dimensione di infinito. Trattasi di materializzazione dello spazio, quasi una istanza di concretezza che si evidenzia anche nella pratica del collage per cui la staticità del supporto viene animata dalla immissione di materiali altri preconfezionati e predeterminati. .
L’emotività, il tasso di casualità connesso all’estendersi e al fluire dei segni, lo sconfinamento spaziale che avviene sul supporto cartaceo, espongono come una pausa attraverso il rapporto materico con la ceramica per poi riprendere un cammino nel solco dei presupposti concettuali che animano il lavoro di Gubinelli. La funzionale lentezza esecutiva derivante dalla manipolazione, i conseguenti margini riflessivi che ne conseguono, anche per i connessi e incisivi problemi tecnici, rimandano quasi con naturalezza a procedure di modulazione razionale pur nella morbidezza delle configurazioni segniche. L’artista intercetta e recupera le forme classiche del tondo del piatto, prevalentemente, e del quadrato, più raramente. Sono forme e tipologie che si costituiscono come campo, ambito sperimentalmente operativo all’interno del quale viene proiettata e, oserei dire, documentata l’esigenza di un incontenibile ordine mentale. Non è un caso che, proprio in questo ambito assumono evidenza figure di ascendenza geometrica quali il triangolo, il quadrato, il semicerchio; la stessa linea di demarcazione si estende nelle canoniche direzioni dell’orizzontale e verticale. I punti di interferenza, le simmetrie funzionano, di volta in volta, come provocazione ottica ed anche quale indizio di richiesta di un ordine mentale. Le profondità, i rilievi, sono affidati alla scansione cromatica a predominanza del grigio luminoso che, nella stesura e selezione si raccorda con l’originaria specificità che caratterizza e coinvolge tutta l’opera di Gubinelli.
Invece della tela, peraltro, utilizzata all’inizio della sua carriera, Gubinelli impiega la carta non per pregiudiziale poverismo, ma quale supporto dalle inedite possibilità espressive. La sua assorbenza, la sua levità consentono esiti che dall’apparente casualità dei segni, della loro espansione, del loro ramigare sulla superfice, transitano nella costituzione di un fondo nel quale si dispongono come emblemi della coscienza ora inquieta che può decampare nella rappresentazione della turbolenza dell’aria, nel battito continuo della pioggia, ora pacificante con l’esaltazione di un colore solare, cantante. Il supporto si fa, quindi, evento spaziale nel quale si amalgamano le varie modalità espressive di Gubinelli dalla strutturazione di impostazione razionale quasi ai limiti del geometrico alla fluidità astratta a ductus informale.
La permanenza della pulsione costruttiva, che poi si ricollega a quello che è il percorso esistenziale dell’artista e alla sua pratica professionale di progettista, di grafico, si evidenzia nei cartoni segnati, per mezzo della lama da tagli e successive piegature manuali. Tagli, piegature assegnati a rotoli che distesi sulle pareti, dilagano sul pavimento in una virtuale dimensione di infinito. Trattasi di materializzazione dello spazio, quasi una istanza di concretezza che si evidenzia anche nella pratica del collage per cui la staticità del supporto viene animata dalla immissione di materiali altri preconfezionati e predeterminati. .
L’emotività, il tasso di casualità connesso all’estendersi e al fluire dei segni, lo sconfinamento spaziale che avviene sul supporto cartaceo, espongono come una pausa attraverso il rapporto materico con la ceramica per poi riprendere un cammino nel solco dei presupposti concettuali che animano il lavoro di Gubinelli. La funzionale lentezza esecutiva derivante dalla manipolazione, i conseguenti margini riflessivi che ne conseguono, anche per i connessi e incisivi problemi tecnici, rimandano quasi con naturalezza a procedure di modulazione razionale pur nella morbidezza delle configurazioni segniche. L’artista intercetta e recupera le forme classiche del tondo del piatto, prevalentemente, e del quadrato, più raramente. Sono forme e tipologie che si costituiscono come campo, ambito sperimentalmente operativo all’interno del quale viene proiettata e, oserei dire, documentata l’esigenza di un incontenibile ordine mentale. Non è un caso che, proprio in questo ambito assumono evidenza figure di ascendenza geometrica quali il triangolo, il quadrato, il semicerchio; la stessa linea di demarcazione si estende nelle canoniche direzioni dell’orizzontale e verticale. I punti di interferenza, le simmetrie funzionano, di volta in volta, come provocazione ottica ed anche quale indizio di richiesta di un ordine mentale. Le profondità, i rilievi, sono affidati alla scansione cromatica a predominanza del grigio luminoso che, nella stesura e selezione si raccorda con l’originaria specificità che caratterizza e coinvolge tutta l’opera di Gubinelli.
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