
(da Notti in bianco, baci a colazione, Matteo Bussola – Einaudi)
Quando ti sei accorto di voler essere un artista?
Diciamo che ho sempre saputo quello che avrei fatto da grande, ho sempre coltivato la passione per il disegno e per i fumetti in particolare. Resto convinto che tutti i bambini sappiano cosa vorranno fare da grandi però, alcuni, crescendo forse se ne dimenticano e vengono sviati da altro.
Io non me ne sono dimenticato, tanto che a un certo punto della mia vita ho deciso di licenziarmi dal lavoro e lasciare il posto fisso come architetto del Comune proprio per fare fumetti.
Non ho mai dimenticato la mia passione, e appena è stato possibile ho fatto la mia scelta.
Quali sono i passaggi fondamentali della tua evoluzione artistica?
Per me tutto fa parte della cosiddetta “evoluzione artistica”: sono state indispensabili tutte le cose che ho visto, che ho vissuto, che ho letto e che ho fatto. Sono stati fondamentali gli anni a Venezia, gli architetti che ho studiato, gli aperitivi al bar Rosso, la musica di Paco de Lucia, i libri di Octavio Paz e le ragazze dagli occhi tristi. Ogni esperienza è poi confluita nei disegni prodotti nel corso degli anni. Dal punto di vista puramente tecnico, se vogliamo dire, la differenza la fanno le ore che passi al tavolo da disegno. Io, per esempio, sono un completo autodidatta. Non ho mai fatto scuole di disegno, nemmeno il liceo artistico, mio padre non me lo ha permesso e quindi ho sempre disegnato per conto mio. Thomas Edison diceva che il talento è per 1% ispirazione e per il 99% traspirazione. Nel mio caso è stato esattamente così, dato che nel disegno sono partito da un talento di base quasi inesistente, ma il disegno è qualcosa che ho voluto con talmente tanta forza e caparbietà che quelle hanno compensato il resto.
Hai dei modelli a cui ti sei ispirato e perché?
Non ho modelli in senso specifico, ho molti artisti che amo e che mi piacciono e che non sono solo
disegnatori, ma soprattutto musicisti e scrittori. Ma sarebbe un elenco lunghissimo, e proprio per
questo inutile.
Perché non consideri il fumetto una forma d'arte?
Non è che non lo considero una forma d’arte, anzi, in un certo senso per me è forse la
forma d’arte suprema, dato che riassume in sé, come linguaggio, la potenza evocativa della parola, la
forza del disegno, il ritmo della musica. Ma non va dimenticato che il fumetto è principalmente un'industria, dato che si basa sulla riproducibilità e sulla serialità, e in termini pratici, professionali, sifonda su un lavoro quotidiano, certosino e manuale. Ma sono io che ho un problema con la parola arte in genere, perché trovo che evochi un fraintendimento di fondo.
In questo senso, trovo più semplice affermare che il fumetto, da un punto di vista professionale, sia più vicino all’artigianato, e dunque il fumettista sia un artigiano, e lo dico senza sentirmi svilito o che: il fumetto è artigianato così come, per me, è artigianato la scrittura.
Visto che hai appena pubblicato per Einaudi, puoi dirci come sei passato dal disegno alla scrittura?
Non c'è stato alcun “passaggio”, io ho sempre scritto, ho sempre tenuto dei diari – anche Facebook lo uso come fosse un diario – e proprio attraverso le narrazioni quotidiane sono stato contattato dalla
casa editrice Einaudi che mi ha chiesto di raccogliere queste narrazioni in un libro. Del resto, devo
dirti che per me tra disegno e scrittura non c'è reale differenza, nel senso che cambia solo lo strumento che uso, ovvero il linguaggio che utilizzo, ma alla fine sono solo due maniere diverse per
raccontare storie. Uso lo stesso metodo che usavo anche per i progetti di architettura e la cosa bella,
in quel caso, è costruire e pensare spazi per altri che, abitandoli, sovrapporranno la loro storia alla tua. La stessa cosa accade con il disegno e con la scrittura. Anche l'approccio che utilizzo è identico, nel senso che, anche quando scrivo, sono sempre le immagini a portarmi le parole. Nelle brevi narrazioni, nelle mie cronache quotidiane, parto sempre da cose che vedo, che sperimento, è come se scattassi tante piccole istantanee e poi riuscissi a tradurre queste istantanee in parole, ma l’innesco vieneempre da un’immagine. La cosa paradossale è che quando avviene il processo contrario, cioè sono le parole a portarmi le immagini, infatti devo tradurre in sequenze disegnate la sceneggiatura scritta da altri; probabilmente aver avuto l'opportunità di vivere questo processo da entrambi i punti di vista mi è tornato utile per comprendere meglio come si costruisca una narrazione.
Se tu potessi suggerire un'idea per valorizzare gli artisti contemporanei, in particolar modo i fumettisti e il fumetto, cosa suggeriresti?

Hai mai pensato di esporre le tue opere?

Secondo te si può vivere di arte in Italia?
In Italia con l'arte non si campa o si campa solo dopo un po' di tempo. Però con l'arte si vive e ci si
tiene accesi che, credo sia molto più importate di campare, soprattutto in aria. Potremmo dire che con
l'arte non si campa, ma si scampa.
Nel processo di crescita e nel tentativo di affermazione e diffusione del proprio lavoro quali sono le difficoltà che, più spesso, incontra un artista?

processo della diffusione della sua opera, nel senso che la diffusione di un'opera, qualunque essa sia,
resta soprattutto la conseguenza di un lavoro ben fatto. Il processo di promozione contiene un'insidia all'interno del termine, ovvero che l'artista non dovrebbe farsi ossessionare dal riconoscimento. La qualità del tuo lavoro è l'unica vera cosa che farà promuovere il tuo lavoro.
Puoi indicarci un pregio e un difetto della critica?
La critica è sempre utile, quando è una critica onesta. La differenza tra una critica onesta e una critica disonesta (appare perfino pleonastico doverlo specificare) è che la prima si occupa dell'opera e se ne occupa, naturalmente, dopo averla letta, vista o ascoltata. Esperita. La seconda invece si occupa di promuovere l'ego del critico o di demolire quello dell’autore. In questo secondo modo la critica (positiva o negativa che sia) non si configura più come costruttiva, o indicativa, ma semplicemente come fuori fuoco. Perde dunque di utilità.
Cosa vorresti che i lettori conoscessero di te e della tua arte?
Tutto quello che desidererei che i lettori conoscessero di me e di ciò che faccio è contenuto all'interno delle mie opere, quelle già realizzate e soprattutto quelle che mi auguro potrò ancora realizzare in futuro.
Infine, che domanda vorresti che ti venisse rivolta durante un'intervista?

nel campo del disegno, non è la conoscenza pedissequa di anatomia, prospettiva, composizione, e nel caso della scrittura non si tratta solo di saper scegliere con cura le parole, ma in entrambi i casi la cosa più importante, ciò che fa davvero la differenza, è riuscire a stare seduti su uno sgabello, chini su un tavolo o davanti a un monitor, come se sotto di te si aprisse un precipizio senza fondo". Vale anche per le arpe invisibili, per quelle soprattutto.
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